Teatro

PARIGI, Bohème

PARIGI, Bohème

Parigi, “La Bohème” di Giacomo Puccini NOSTALGIA DI BOHEME La prima stagione di Nicolas Joel, il nuovo direttore dell’Opéra di Parigi, è più orientata al grande repertorio e senza prendere troppi rischi ripropone la Bohème nell’ormai storico allestimento di Jonathan Miller per il Maggio Musicale, visto a Parigi in più occasioni, puntando su “comprimari di lusso“ particolarmente amati dal pubblico francese: Natalie Dessay e Ludovic Tézier. La produzione è fedele al libretto e allo spirito dell’opera e mantiene a distanza di tempo l’originale efficacia perché concilia realismo e lirismo, sfruttando con intelligenza tutti gli spunti drammaturgici e la capacità di Bohème di continuare a commuovere. Ancora una volta si apprezza la leggerezza pervasa da un’ombra di tristezza con cui vengono risolti i momenti “comici” della vita di Bohème senza cadere nella caricatura (la scena con Benoit piuttosto che la pantomima del quarto atto) e grazie a una sensibile direzione degli attori vengono messi in luce con delicatezza, quasi sottovoce, i momenti più toccanti come l’andirivieni finale di fronte alla morte e alla fine delle illusioni. Le scene di Dante Ferretti, declinate sui toni del beige e del grigio, suggeriscono una datazione anni ‘30, creando la giusta distanza temporale per osservare la vicenda con quella nostalgia con cui siamo soliti riandare ai nostri ricordi. Rivediamo la soffitta piena di cianfrusaglie, oggetti dimenticati e locandine ormai sbiadite, illuminata da una luce naturale e indiretta (sempre belle le luci di Guido Levi che scandiscono le diverse atmosfere della vicenda) che filtra dalla finestra affacciata sui tetti di Parigi. Ben risolto il quadro di Momus che ricrea, grazie alle vetrate e un intelligente movimento scenico, l’illusione di uno spazio ugualmente funzionale come interno ed esterno, come i déhors delle brasseries parigine. Il terzo quadro mette in risalto la vita quotidiana e il risveglio della città alle prime luci dell’alba con le contadine e gli operai in bicicletta, ma introduce anche un’atmosfera livida e malinconica, evidente nell’intonaco screpolato delle facciate o nelle stradine illuminate da luci fioche. Inva Mula è una Mimì molto credibile per la voce lirica e delicata dalla linea di canto limpida; della figura pucciniana sottolinea con garbo fragilità e dolcezza, ma anche l’evoluzione drammatica, conferendo progressivo spessore scenico e vocale al personaggio senza però stravolgerlo. Massimo Giordano ha il giovanile ardore di Rodolfo, ma la voce, peraltro gradevole, non è supportata da adeguata tecnica e intonazione e l’interpretazione istintiva genera risultati discontinui. Fuori parte Natalie Dessay, che si cimenta per la prima volta con un repertorio a lei poco congeniale (Musetta); la voce manca di lirismo e autentica seduzione, stenta a passare l’orchestra e decolla solo negli acuti del valzer; particolarmente mobile e brillante sulla scena, incontra a ogni suo apparire pieno favore del pubblico che assiste divertito alla commedia e al suo disinvolto ancheggiare a piedi nudi; se nel secondo atto è fin troppo esuberante, risulta più “vera” nel quarto con un’interpretazione commovente. Non delude Ludovic Tézier per la voce ben proiettata di bel colore e squisito fraseggio e Marcello, per meriti scenici oltre che vocali, diventa protagonista e si ha l’impressione che sia lui a dirigere il gioco per la recitazione naturale e uno sguardo penetrante che catalizza l’attenzione. David Bizic è uno Schaunard brillante, dal fraseggio capace di differenziazioni. Wojtek Smilek è Colline e la sua vecchia zimarra è particolarmente dolente. Ben risolti anche i ruoli minori, più personaggi con dietro un vissuto che non semplici macchiette, come il Benoit di Matteo Peirone (di cui vediamo in un cameo la moglie bisbetica) e il triste Alcindoro di Remy Corazza. Pascal Mesle è un allegro Parpignol. Un plauso alla direzione di Daniel Oren che, grazie a una compagine orchestrale particolarmente nitida e affiatata, ha fatto scaturire tutta la modernità di orchestrazione di Bohème, mettendone in luce l’impressionismo e le ricchezze timbriche e coloristiche. Una direzione che dialoga con il canto senza coprire le voci e che fa letteralmente vivere la partitura fra slanci e ripiegamenti con un uso teatrale, ma non esteriore, delle pause. Buona anche la prova del coro preparato da Alessandro Di Stefano. Un pubblico particolarmente generoso ha espresso piena soddisfazione a una produzione che continua a piacere facendo il tutto esaurito. Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 6/11/09 Ilaria Bellini